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PAOLO IV - Gian Pietro Carafa (1476-1559)
(Pontificato 1555-1559)

GIAN PIETRO nacque a sant'Angelo della Scala (Avellino, ma diverse fonti riportano Capriglia, quasi confinante con sant'Angelo) il 28 giugno 1476 dal ramo napoletano dei baroni CARAFA. Suo mentore fu lo zio cardinale Oliviero Carafa, che lo introdusse nella Curia romana e grazie al quale ricoprì diversi incarichi, tra cui, nel 1503, quello di Protonotaio apostolico. Alessandro VI avrebbe voluto inserirlo nella sua corrotta corte, ma egli resistette irreprensibilmente. Nello stesso anno Giulio II lo nominò arcivescovo di Chieti; partecipò al Concilio Lateranense V. Nel 1506 Leone X lo inviò Legato in Spagna presso Ferdinando il cattolico e, successivamente, 1513-1514, fu in Inghilterra in qualità di Ambasciatore presso Enrico VIII. Nel 1518 fu nominato arcivescovo di Brindisi; nel 1522 Adriano VI lo richiamò a Roma per affidargli la riforma della corte e della disciplina del clero.

Nel 1524, rassegnò le sue dimissioni dal governo della diocesi pugliese a Clemente VII; al pontefice chiese di rinunciare ai suoi benefici e ritirarsi a vita solitaria. Entrò a far parte dell'Oratorio del Divino Amore e fondò poi con san Gaetano da Thiene l'Ordine dei Teatini, chiamato così appunto da Theates (Chieti), già suo vescovado. I Teatini si proponevano uno stile di vita rigido e ascetico, con il quale venivano attuati i principi della Riforma cattolica per arginare l'eresia protestante; dopo il 'Sacco' di Roma nel 1527 si rifugiò con in suoi compagni a Venezia.

Celebre resta un suo 'Memoriale' scritto a Clemente VII nel 1532 sul dilagare dell'eresia; egli proponeva, fra l'altro, di affidare l'Inquisizione all'Ordinario o ai Nunzi togliendola ai frati. Benchè riluttante, il Carafa venne richiamato a Roma da Paolo III per sedere nel Comitato di riforma della Corte papale; nel dicembre 1536 il pontefice lo nominava cardinale; gli fu assegnato l'arcivescovado di Napoli, ma per l'opposizione di Carlo V, non riuscì mai a prenderne possesso. Ricoprì, allora, diversi incarichi, tra cui il principale fu la nomina a Prefetto del Santo Uffizio (1542) ruolo in cui riversò tutto il suo rigore e la sua disciplina; ricoprì inoltre anche incarichi di responsabilità nelle commissioni dei lavori del Concilio di Trento. Nel 1550 fu nominato vescovo di Frascati e nel 1553 di Ostia-Velletri; nello stesso anno era decano del Sacro Collegio.

Alla morte di Marcello II, il nuovo pontefice fu il cardinale Carafa: fu una scelta a sorpresa in quanto il suo carattere rigido, severo e inflessibile, combinato con la sua età (79 anni) e il suo patriottismo facevano pensare che avrebbe declinato l'onore; accettò apparentemente perché l'imperatore Carlo V si era opposto alla sua ascesa. Il 23 maggio 1555 veniva eletto con il nome di PAOLO IV.

Appena sul soglio confermò il suo carattere rigido e intransigente, al punto tale da inimicarsi tutte le monarchie europee. In particolare si adoperò per combattere gli spagnoli (la casa asburgica ricambiava i sentimenti di insofferenza) unicamente per portar via loro il Regno di Napoli. Fu così che sviluppò una politica di intesa con la Francia in chiave antispagnola, che si concluse con un'alleanza segreta con Enrico II (1556) e con la guerra contro la Spagna. Ma un'irruzione nello Stato della Chiesa ad opera del duca d'Alba, lo costrinse alla Pace di Cave del 13 e 14 settembre 1557; in base a questo trattato il papa usciva dall'alleanza con la Francia e la Spagna, le cui truppe erano giunte alle porte di Roma, rinunciava ai territori che aveva sotratto al pontefice. (per ulteriori approfondimenti consulta Anno 1550 Riassunti Storia d'Italia)

Fece esprimere, per mezzo dei suoi nunzi, la sua disapprovazione per la Pace religiosa di AUGUSTA del 25 settembre 1555, invocata e realizzata dall'imperatore Carlo V (più volte minacciato di destituzione dallo stesso pontefice) come compromesso spirituale, la quale decretava che doveva regnare "una pace perpetua tra cattolici e i seguaci della confessione augustana". Ai principi degli stati dell'impero fu consentita la libera scelta della religione; a loro era riconosciuto anche il diritto di imporre ai territori loro soggetti la confessione preferita, da cui, più tardi, la formula 'Cujus regio, eius religio'. Al popolo fu riservato solo lo 'jus emigrandi'. Non si giunse ad un accordo circa la questione se il diritto di abbracciare la riforma fosse da concedere anche ai principi ecclesiastici.

L'imperatore Ferdinando I d'Austria (succeduto a Carlo V, ma non riconosciuto da Paolo IV, in quanto egli aveva assunto la dignità imperiale, senza il consenso papale), valendosi della sua autorità decretò che i vescovi e gli abati che fossero passati alla nuova confessione, avrebbero perduto l'ufficio, le rendite e il territorio, che dovevano rimanere alla vecchia religione (Reservatum ecclesiasticum). Inoltre Ferdinando dovette concedere in una dichiarazione segreta (Declaratio ferdinandea) che i nobili, le città e i comuni che già da tempo avevano abbracciato la confessione augustana e che si trovavano nei territori dei principati ecclesiastici, godessero libertà religiosa anche in futuro. Di fatto la Pace augustana fu una 'sanatoria' ma, sul piano temporale, non soddisfò veramente le controparti.

Si alienò anche l'Inghilterra rigettando la pretesa alla corona inglese da parte di Elisabetta I; arrivò al punto di destituire Reginaldo Pole, suo valente Legato, e consegnarlo all'Inquisizione nel 1556. L'anno precedente aveva dichiarato nullo il rito anglicano delle ordinazioni introdotto da Edoardo VI e usato da Mattia Parker, cappellano di Anna Bolena, creato arcivescovo di Canterbury e messo alla testa della gerarchia riformata; egli stesso ordinerà, infatti, la maggior parte dei nuovi vescovi. Leone XIII, dopo aver fatto esaminare la questione da una commissione di studiosi, con lo scritto 'Apostolicae curae' del 1896 decretò l'interrotta successione apostolica della gerarchia anglicana (pronuntiamus et declaramus ordinationes ritu anglicano actas irritas prorsus et esse omninoque nullas).

A coronamento della sua disastrosa politica estera, nel 1559 emanò la Bolla 'Cum ex apostolatus officio', in cui, in forza della "pienezza del potere sui popoli e i regni", egli rinnovava tutte le punizioni precedentemente decretate contro gli ecclesiastici e i laici, i principi e i sudditi che avevano apostatato dalla vera fede e li dichiarava destituiti di ogni dignità, diritto e possesso; i loro territori e i loro beni dovevano appartenere a quei cattolici che per primi se ne fossero impadroniti. Con questo documento tentò di far rivivere l'intransigenza ideologica della ierocrazia medievale, senza tener minimamente conto del mutar dei tempi.

Deluso dagli insuccessi politici, si votò alla Riforma; ma anche qui si rivelò maldestro e precipitoso.
Decisamente contrario ad una prosecuzione del Concilio di Trento, egli intendeva piuttosto riformare la Chiesa con la sua attività diretta, nel tentativo di estirpare l'eresia con una rigida moralizzazione dei costumi; all'uopo creò nel 1556 una Congregazione Generale per la Riforma composta da 72 membri, successivamente riordinata in quattro sezioni. Rafforzò ulteriormente l'Inquisizione davanti al cui Tribunale trascinò perfino cardinali, vescovi, dottori e uomini pii; anche il grande inquisitore cardinal Ghislieri (futuro Pio V) fu accusato di scarso zelo. Il cardinale Morone, uomo retto e innocente fu imprigionato per due anni.

Sancì l'obbligo della residenza per i vescovi, scelse i cardinali indipendentemente da situazioni politiche. Il suo spirito riformista represse qualsiasi forma di devozione non solo ereticale, ma anche sincera e irenistica. Impose riforme durissime dalle quali non risparmiò neanche Roma, ridotta ad un convento. Licenziò Palestrina da maestro della cappella pontificia, in quanto era sposato; non contento, con un motu proprio vietava che fossero scelti maestri, cappellani e cantori non celibi, e proibì ai musicisti di comporre musica profana.

Nel 1559 promosse l'iniziativa di raccogliere in un catalogo tutte le opere ritenute pericolose per i credenti e la cattolicità: così fu pubblicata la prima edizione ufficiale dell''INDEX LIBRORUM PROHIBITORUM', sempre ad opera dell'Inquisizione. Vi primeggiava il 'Decameron' di Giovanni Boccaccio e il 'Il Principe' di Niccolò Machiavelli, ma non mancava neppure 'Il Novellino' di Masuccio Salernitano; ovviamente vi furono inserite anche tutte le edizioni della Bibbia pubblicate dai protestanti. Si avvalse, in questa sua opera purificatrice, di monsignor Giovanni Della Casa, l'autore del 'Galateo'. Con molteplici edizioni l'Indice dei Libri proibiti sarà regolarmente pubblicato fino al 1938.
In questa sua opera riformatrice si fece coadiuvare dai nipoti, specie CARLO CARAFA, eletto cardinale e segretario di stato, uomo immorale, che abusò del suo ufficio per losche manovre. Quando finalmente Paolo IV aprì gli occhi sui traffici dei suoi nipoti, procedette contro Carlo e suo fratello con la destituzione delle cariche e l'esilio (1559), ma non potè ormai più rimediare al male da essi provocato.

L'apice fu raggiunto con la promulgazione, il 12 luglio 1555, della Bolla "Cum Nimis Absurdum", con la quale era istituito a Roma, e in altre città, il GHETTO per gli ebrei, sancendo la totale separazione dai cristiani. Il documento così motivava le gravi restrizioni imposte:

"Poiché è assurdo e sconveniente al massimo grado che gli ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna, possano, con la scusa di essere protetti dall'amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo a noi, mostrare tale ingratitudine verso i cristiani ed oltraggiarli per la loro misericordia e pretendere dominio invece di sottomissione; e poiché abbiamo appreso che, a Roma ed in altre località sottoposte alla Sacra Romana Chiesa, la loro sfrontatezza è giunta a tanto che essi si azzardano non solo di vivere in mezzo ai cristiani, ma anche nelle vicinanze delle chiese senza alcuna distinzione di abito, e che anzi prendono in affitto delle case nelle vie e nelle piazze principali, acquistano e posseggono immobili, assumono donne di casa, balie ed altra servitù cristiana, e commettono altri e numerosi misfatti a vergogna e disprezzo del nome cristiano, ci siamo veduti costretti a prendere i seguenti provvedimenti [...]".

I provvedimenti imposti stabilivano in particolare che da allora in poi gli ebrei avrebbero dovuto abitare in una strada (o all'occorrenza in più strade) separata dalle case dei cristiani e munita di un portone di chiusura; che in ogni ghetto non potesse esistere più di una sinagoga; che gli ebrei dovessero vendere ai cristiani tutti gli immobili posseduti fino ad allora. Veniva inoltre imposto: un segno distintivo per il pubblico riconoscimento (il berretto per gli uomini, un velo o uno scialle per le donne), il divieto di avere servitù cristiana e rapporti, anche di semplice amicizia, con i cristiani, avere botteghe fuori dal ghetto, gravi restrizioni circa l'interesse che si poteva percepire per il prestito, gravi restrizioni riguardo i mestieri consentiti (era permesso il solo traffico di stracci e abiti usati, 'sola arte strazziariae seu cenciariae', diceva il documento papale).

La bolla rappresentava un significativo mutamento di rotta nella politica della Chiesa verso gli ebrei; col succedersi dei pontefici le condizioni di vita imposte agli ebrei non mutarono, anzi, la politica della Chiesa ebbe conseguenze negative anche negli stati non direttamente dominati dal papa.
Il pericoloso isolamento politico e diplomatico e il rigorismo che egli aveva imposto alla Chiesa e a Roma provocò alla sua morte, avvenuta il 18 agosto 1559, una rivolta popolare; fu dato fuoco al Tribunale dell'Inquisizione e distrutta la sua statua; ciò ne impedì i solenni funerali. Venne seppellito nella basilica di san Pietro, ma venne in seguito traslato in santa Maria sopra Minerva.

 

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