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PAOLO III - Alessandro Farnese (1534-1549)
(Pontificato 1534-1549)

ALESSANDRO nacque a Canino (VT) il 29 febbraio 1468 dalla nobile ed antica famiglia FARNESE, figlio di Pierluigi e Giovannella Caetani. Formatosi alla corte fiorentina di Lorenzo il Magnifico, visse la giovinezza in modo movimentato e gaudente, essendo amante di caccia e divertimenti. Abbandonata questa vita si dedicò esclusivamente alla causa di Cristo, percorrendo rapidamente i gradini della carriera ecclesiastica, grazie al suo ingegno, alla sua cultura, e alla protezione di Alessandro VI e Clemente VII: Protonotaio Apostolico nel 1491, Tesoriere Generale nel 1492, nel settembre del 1493 fu elevato al cardinalato (cardinale-diacono); pare che quest'ultima nomina sia stata un indiretto ringraziamento di papa Alessandro alla famiglia Farnese per aver ricevuto in 'dono' la perla di famiglia più preziosa, la bellissima Giulia Farnese, sorella di Alessandro.

Nel 1499 fu nominato vescovo di Corneto e Montefiascone, Legato ad Ancona nel 1502, vescovo di Parma nel 1509. In seguito resse le diocesi di Benevento (1514), di Frascati (1519), di Palestrina (1523), di Ostia (1524) finquando alla morte di Clemente VII venne eletto, dopo appena ventiquattro ore di conclave, quale successore di Pietro, il 13 ottobre 1534.
La sua elezione fu acclamata dai romani con molta gioia e speranza. La scelta del conclave era stata saggiamente ponderata: le ferite inferte alla città per un intero anno (maggio 1527- maggio 1528) ad opera dei soldati di Carlo V, benchè fossero trascorsi sette anni, erano ancora più che mai aperte. Perciò, per cancellare il ricordo di quel triste periodo, causato dalla politica errata di Clemente VII, i cardinali, di comune accordo, si erano proposti di eleggere al soglio pontificio un romano proveniente da una illustre famiglia che aveva ormai da tempo piantato la sue radici in Roma ed al servizio della cattedra di Pietro. Il cardinale Farnese, appena eletto, si mise subito all'opera; assunse il nome di PAOLO III.

Trovò l'Europa spaccata in fazioni e divisa da guerre: il mondo cattolico era funestato da fiere lotte fra protestanti e cattolici e dalle rivalità fra l'imperatore Carlo V e Francesco I di Francia. E alle porte dell'Europa c'era il pericolo ottomano sempre in agguato. Infatti nell'estate 1541 il sultano Solimano II (il Magnifico) invase l'Ungheria; contemporaneamente alcune flottiglie turche minacciavano nel Mediterraneo occidentale i domini di Carlo V. L'imperatore allora stabilì sulle coste africane una spedizione contro il nemico, e passò per l'Italia per avere un colloquio con il papa. Da Lucca, ove ebbe luogo il convegno con Paolo III, Carlo V, verso la metà di settembre si recò a La Spezia, poi a Maiorca, per affrettare i preparativi dell'impresa di Algeri. Sebbene i suoi migliori generali gliela sconsigliassero data la stagione avanzata, l'imperatore volle tuttavia effettuarla e allestì, dandone il comando ad Andrea Doria, una flotta di 65 galee e di 450 navi onerarie con 12.000 marinai e 24.000 soldati. Nel 1545 Carlo V firmò una tregua con Solimano garantendo la sicurezza sul fronte orientale dell'Impero.

Si adoperò anche alla pacificazione degli animi dei governanti europei, proponendo la convocazione di un Concilio Ecumenico, che sin dagli inizi della riforma protestante era stato invocato non solo da Lutero e dai suoi seguaci, ma anche da moltissimi cattolici e dallo stesso Carlo V, concilio che il suo predecessore Clemente VII aveva costantemente rifiutato; ma dovettero passare ancora altri dieci anni prima che tale progetto si concretizzasse veramente. Un primo tentativo di convocazione fu fatto a Mantova nel 1536, ma fallì a causa di un nuovo conflitto franco-asburgico scoppiato per il dominio sul ducato di Milano; ne seguì una tregua (1538), stipulata a Nizza, ma il conflitto riprese nel 1542.
Allora Paolo III pensò di riunire l'ideato Concilio a Vicenza (1537), ma i cattolici di Germania si erano raccolti attorno all'imperatore stipulando un'alleanza difensiva a Norimberga, contro la Lega Smalcaldica protestante, grazie anche alla quale, per incarico del principe elettore Giovanni Federico il Magnanino di Sassonia, Lutero aveva compendiato la sua dottrina nei cosiddetti Articoli smalcaldici. Ma grazie alla tregua di Francoforte (1539) il clima, tesissimo, si rasserenò. Si aprì così il periodo dei "colloqui di religione", tentativi pacifici di confronto dottrinale, di cui il principale fu tenuto a Ratisbona nel 1541, alla presenza dell'imperatore in persona, ma ben presto anche questo mezzo fu trovato poco atto ad appianare la via all'intesa e superare il contrasto confessionale.

Dal 1542 al 1544 un altro conflitto contrappose Francia e Impero, ma con la pace di Crépy del settembre 1544, con la quale gli Asburgo prendevano possesso di Milano e i francesi del Piemonte e della Savoia, Carlo V ebbe mano più libera per occuparsi di affari religiosi. Il CONCILIO ECUMENICO fu convocato a TRENTO, sede di un principato vescovile appartenente all'Impero germanico, con la bolla "Laetare Jerusalem" per il 2 novembre 1542, ma per lo scarsissimo concorso di prelati fu sospeso il 6 luglio del 1543; venne riconvocato l'anno dopo, il 19 novembre 1544. Gli stati protestanti tedeschi respinsero aspramente l'invito; Lutero sfogò nuovamente il suo astio verso il papato nello scritto "Contro il papato di Roma, fondato dal diavolo".

Nonostante la tanto attesa convocazione del Concilio, probabilmente a causa del rifiuto protestante a parteciparvi, Carlo V si risolse all'uso delle armi. Come alleati egli aveva guadagnato, oltre suo fratello, re Ferdinando, il duca Guglielmo IV di Baviera, alcuni principi protestanti (tra cui il duca Maurizio di Sassonia), e lo stesso pontefice, il quale, in cambio, era riuscito ad ottenere l'apertura del Concilio. Paolo III inviò 12.000 uomini al comando di Ottavio Farnese. La 'guerra smalcaldica' ebbe uno sviluppo molto celere, l'imperatore sconfisse e sciolse definitivamente la Lega nell'aprile del 1547: con questa vittoria l'astro Carlo V fu più rilucente che mai. Ma in realtà il protestantesimo era vinto solo come organizzazione politico-militare, non come potenza religiosa.

L'apertura del Concilio (durato complessivamente 18 anni, con due prolungate interruzioni) era stata fissata per la primavera del 1545, ma a causa di nuove difficoltà essa potè celebrarsi solo nella terza domenica d'avvento (13 dicembre) nel duomo della città. Esso non ebbe particolare influsso sullo sviluppo del protestantesimo come tale; non solo, ma non ebbe nessuna azione conciliativa con la nuova confessione ma si pose in chiara azione anti-protestantesimo. Alcuni storici affermano che, per il suo carattere 'unilaterale', cioè con presenze solo cattoliche, non meriti nemmeno di essere chiamato Concilio. I protestanti, che avevo rifiutato l'invito alla partecipazione, convocarono, nella primavera del 1545, un proprio Concilio a Worms, dove rivendicarono la propria autonomia religiosa dalla Chiesa di Roma, e, per quanto riguardava la dottrina e la disciplina, dichiaravano piena libertà di decisione.

La presidenza del Concilio (primo periodo, sessioni I-X, 13 dicembre 1545 - 2 giugno 1547) fu tenuta con capacità e destrezza dai Legati nominati dal papa, i tre cardinali Giovanni Maria del Monte (futuro Giulio III), Marcello Cervini (futuro Marcello II) e l'inglese Reginaldo Pole. Loro compito era determinare la scelta degli oggetti di discussione e sorvegliare i dibattiti stessi; nelle questioni più importanti, essi ricevevano istruzioni direttamente da Roma. Con un numero inizialmente scarso di membri aventi diritto di voto (32-42) fu fissato dapprima l'ordine di procedura e fu deciso di trattare in modo simultaneo e parallelo, materia dogmatica e materia disciplinare, sebbene l'imperatore dal canto suo desiderasse, per riguardo ai protestanti, che si desse la precedenza alla riforma, e il papa invece alle questioni riguardanti la fede. Così le decisioni del Concilio, che dopo essere state preparate e discusse nelle varie commissioni e nelle congregazioni, venivano infine approvate e proclamate nelle sessioni solenni, si articolavano regolarmente nelle due specie di decreta de fide e decreta de reformatione.

Come sistema di votazione si usò quello individuale, come s'era fatto sempre in passato fino al Concilio di Costanza. Al diritto di voto deliberativo furono ammessi i vescovi, i generali di ordini religiosi e una parte di abati; nella preparazione dei decreti tuttavia, furono chiamati a collaborare con voto consultivo anche numerosi teologi (theologi minores) non vescovi, fra cui parecchi uomini di alta fama, quali i gesuiti Salmeron, Lainez e Pietro Canisio, i domenicani Cano, Soto e Ambrogio Catarino, i francescani spagnoli de Castro e de Vega; fra i teologi di rango prelatizio emerse particolarmente per la sua vasta dottrina il generale degli Eremitani di sant'Agostino, Girolamo Seripando, il principale esponente della scuola agostiniana.
Il compito dogmatico del Concilio consisteva nell'esposizione e chiarificazione del dogma cattolico, di fronte alla negazione di verità fondamentali da parte dei protestanti, di fronte al loro nuovo principio materiale e formale del cristianesimo, al loro concetto spiritualistico della Chiesa e alla negazione di quasi tutti i sacramenti. Perciò nella IV sessione (8 aprile 1546) fu innazitutto riconosciuto il valore della Tradizione Apostolica pari a quello della Sacra Scrittura, come unica fonte della fede e fu definito il canone dei libri ispirati.

Fra le traduzioni della Bibbia fu dichiarata autentica per l'uso teologico-ecclesiastico la Vulgata, e fu infine proclamata come norma per l'interpretazione della Sacra Scrittura l'opinione comune dei Padri e il giudizio della Chiesa. Nella V sessione (17 giugno 1546) fu pubblicato il decreto dogmatico sul peccato originale, nella VI sessione (13 gennaio 1547) quello sulla giustificazione, che attribuiva alla fede il valore di "inizio e e fondamento e radice di ogni salvezza umana"; il decreto, vero capovolgimento teologico, esprime nella forma più precisa la concezione cattolica di fronte a quella protestante. L'opposizione dello scotismo affiorò nel corso delle discussioni, ma non si espresse nel decreto. Si prese quindi in esame la dottrina dei sacramenti, e nella VII sessione (3 marzo 1547) fu definita la dottrina dei sacramenti in genere, e del battesimo e della cresima in particolare. Inoltre, dalla V alla VII sessione furono emananti anche una serie di decreti di riforma, riguardanti l'obbligo di istituire nelle chiese maggiori e nei conventi delle cattedre di Sacra Scrittura, che dovevano diventare il centro dello studio teologico, l'obbligo di esercitare l'ufficio della predicazione, il dovere di residenza dei titolari di benefici, le qualità necessarie per i candidati all'ufficio vescovile, ed altro ancora.

Ma il luogo del Concilio non era gradito a Roma. In curia si era accettata controvoglia la scelta di una città dell'impero germanico; più volte si tentò anche di trasferire il concilio in una città più vicina a Roma, ma si dovette rinunciare all'idea per l'opposizione dell'imperatore. L'occasione giunse nel febbraio 1547 quando un preoccupante morbo epidemico (febbre petecchiale) scoppiato a Trento mise in grave situazione i Legati papali, per la partenza di molti prelati italiani, principali sostenitori del papa. Prima che il guaio fosse irreparabile i Legati decisero, con la maggioranza di due terzi del Concilio di trasferire l'assise a Bologna (sessione VIII, 11 marzo 1547); il papa confermò il trasferimento. Ma quattordici prelati di tendenze imperiali si fermarono a Trento, e lo stesso Carlo V fu estremamente indignato della traslazione, perchè una comparsa dei protestanti tedeschi, ch'egli proprio allora aveva assoggettato alla sua forza (guerra smalcaldica, cfr. sopra) in una città dello Stato Pontificio non era proprio pensabile. Perciò egli insistette con ogni energia perchè il Concilio fosse riportato a Trento, e ottenne almeno che si evitasse una pubblicazione di decreti nelle sessioni IX e X celebrate a Bologna, dove intanto le commissioni di studio avevano ripreso a lavorare alacremente.

Ma la situazione si era ancora più inasprita per una violentissima protesta dell'imperatore (gennaio 1548) e per il suo agire arbitrario presso dieta di Augusta, dove aveva fatto emanare un provvedimento provviso, il cosiddetto Interim del 30 giugno 1548. Questo documento, elaborato dal vescovo Pflug di Naumburg, dal vescovo ausiliare di Magonza Michele Helding e dal teologo protestante Giovanni Agricola, tanto dal lato dottrinale come da quello disciplinare era sostanzialmente cattolico, però concedeva ai protestanti il matrimonio dei preti e il calice ai laici fino a una decisione definitiva del concilio. Della restituzione dei beni ecclesiastici sequestrati non si faceva parola. Il papa ne fu scontentissimo perchè vi vedeva un'ingerenza indebita dell'imperatore nella sfera dei diritti ecclesiastici. Per questo agire arbitrario di Carlo V, a cui si aggiungeva la morte di Francesco I che privava il pontefice di un forte alleato, il 13 settembre 1549 (due mesi prima della sua morte), Paolo III sospese il concilio.

Pochi mesi dopo la sua elezione Paolo III si trovò a fronteggiare l'espansione protestante anche in Inghilterra. Infatti è datato 3 novembre 1534 l'Atto di supremazia votato dal parlamento, che dichiarava il re supremo e unico capo della Chiesa d'Inghilterra, e gli attribuiva in tutto il paese quell'autorità e quel potere spirituale che fino allora vi aveva esercitato il papa. Chi rifiutava d'accettare con giuramento l'atto di supremazia e di riconoscere il nuovo matrimonio del re (con Anna Bolena) col relativo ordine di successione al trono, era considerato reo di alto tradimento e punito con morte crudele. Lo scisma inglese era ormai un fatto compiuto. Purtroppo il clero, già da tempo assuefatto ad una chiesa di stato, si assoggettò nella grande maggioranza a questa nuova forma di cesaropapismo. Soltanto pochi ebbero il coraggio di opporsi; le vittime più note del dispotismo di Enrico furono il dotto e pio vescovo John Fisher di Rochester, che Paolo III nominò cardinale durante la sua prigionia, e il nobile umanista Thomas More. Entrambi furono decapitati nel 1535. Nel 1538 Paolo III pubblicò la bolla, già pronta da tre anni, in cui Enrico veniva scomunicato e dichiarato decaduto dal regno, e i suoi sudditi sciolti dal giuramento di fedeltà, ma questa sortì una scarsa efficacia.

Consapevole della tremenda situazione ecclesiastica si adopeò anche per il riassetto interno della Chiesa, con un'opera che andava di pari passo con il Concilio. Per questo chiamò a far parte del supremo senato della Chiesa una serie di personalità d'alto merito culturale e morale, quali Contarini, Carafa, Sadoleto, Pole, Cervini, Morone, Gilberti, Fregoso, Toledo e parecchi altri che onorarono la Curia romana. Con l'aiuto di questi porporati, Paolo III attuò parecchie riforme: riorganizzò la Camera Apostolica, la Sacra Rota, la Cancelleria e la Penitenzieria. Creò una commissione cardinalizia atta a preparare la riforma dei costumi del clero; frutto dei lavori furono il 'Consilium super reformatione ecclesiae' e il 'Consilium de emendanda ecclesia' del 1537.

Su suggerimento del cardinale Carafa (futuro Paolo IV) e di sant'Ignazio di Loyola, con la bolla "Licet ab initio" del luglio 1542, Paolo III ripristinò e riorganizzò l'istituto dell'Inquisizione romana, tribunale cardinalizio dotato di poteri senza confini geografici, con compiti di controllo e repressione indipendenti dalle autorità locali tanto laiche quanto ecclesiastiche, contro ogni deviazione eretica, di conservazione della purezza della fede. Essa doveva essere organizzata con regole uniformi e inviolabili; doveva avere la forza di procedere contro ogni dignitario della Chiesa, qualunque fosse il suo grado e la sua condizione, anzi doveva rivolgersi e combattere e a togliere di mezzo gli uomini più eminenti, qualora costituissero un pericolo per la Santa Sede.
Scopo trasversale della politica di Paolo III fu sempre quello di favorire i suoi parenti e familiari, mostrandosi, in questo modo, vistosamente nepotista. Tra i suoi preferiti c'erano i suoi quattro figli, avuti prima di prendere gli ordini sacri: Costanza, Pier Luigi, Paolo e Ranuccio. Suo favorito era Pier Luigi; il pontefice, nel 1537 lo creò duca di Nepi e di Castro, e Gonfaloniere della Chiesa. Qualche anno dopo diede Camerino ad Ottavio suo nipote (figlio di Pier Luigi), togliendola a Guidobaldo II d'Urbino al quale questa città spettava per diritto, essendo marito di una Varano.

Nell'ottobre del 1539, a Nizza, in occasione della tregua omonima (vedi sopra), ottenne che Pier Luigi fosse da Carlo V investito della città di Parma col titolo di marchese e che ad Ottavio fosse data in sposa Margherita d'Austria, figlia naturale di Carlo V e vedova di Alessandro de' Medici. Per questo nipote, nel convegno di Busseto, chiese, ma non ottenne dall'imperatore, il ducato di Milano. Carlo V fu anche sollecitato perché desse Siena a Pier Luigi, ma ne fu sconsigliato da Cosimo de' Medici, il quale sperava di potersene egli stesso impadronire.
Tentò di far concedere al proprio figlio anche Lucca, ma non vi riuscì e fallì pure il tentativo, come si disse e molti sostengono, di occupare la piccola Repubblica di san Marino nel giugno 1543.
Gli riuscì invece di 'convincere' il Sacro Collegio (agosto del 1545) a concedere a Pier Luigi l'investitura di Parma e Piacenza erette a ducato dipendente dalla Santa Sede. In cambio il figlio del pontefice rinunziava ai ducati di Nepi e Camerino che venivano incorporati alla Camera Apostolica. Questa politica familiare, condotta a spese dello Stato Pontificio, gli costò molte contrarietà e danneggiò non poco la sua reputazione.

Indisse il X Giubileo, pochi mesi prima di morire. Per tale motivo era intervenuto con un interessante decreto che ordinava, a vantaggio della povera gente, il blocco dei fitti e dei subaffitti per l'intera durata dell'Anno Santo, insieme con il divieto di cacciare gli inquilini per affittare ad altre persone disposte a pagare un canone più elevato: "[...] stabiliamo e ordiniamo che in vista dell'anno santo, sempre quando ricorrerà un anno del genere, per un anno prima e per il detto anno santo, la pigione delle case non possa essere aumentata agli inquilini da parte dei padroni delle medesime, né essere alterato il modo di pagare la pigione. Inoltre, al fine di evitare liti e controversie, ordiniamo che sia l'inquilino stesso, sia il subinquilino del medesimo non può essere espulso dalla casa affittata o subaffittata ai medesimi dal padrone di essa [...] a meno che questi non ne abbia veramente bisogno e si sia obbligato, a tal fine, a giurare di non affittarla ad altri ma di abitarla lui stesso per un anno, pena, in caso di spergiuro, la perdita per due anni della pigione della casa di cui si tratta".

Con la bolla 'Regimini militantis ecclesiae' del 27 settembre 1540 Paolo III concesse la desiderata approvazione in forma di ordine di chierici regolari alla regola, presentata al pontefice per mezzo del cardinale Contarini, alla Compagnia di Gesù fondata nel 1534 da Ignazio di Loyola. I Gesuiti contribuirono enormemente alla Riforma cattolica, con la predicazione (specie degli Esercizi Spirituali), l'insegnamento, gli scritti, mettendosi al servizio della Chiesa intera, divenendo milizia prescelta del papato, a cui la Compagnia resta tutt'oggi legata tramite anche uno speciale quarto voto di rigorosa obbedienza alla sede apostolica in campo missionario.
Oltre ai Gesuiti, uno stuolo di Congregazioni religiose nascenti testimoniano il fiore più bello della Controriforma: Teatini, Cappuccini, Barnabiti, Somaschi, Orsoline, Fatebenefratelli, Camilliani, Oratoriani, Visitandine, Lazzaristi, Eudisti, Scolopi. Un contrassegno comune delle nuove associazioni religiose è, non soltanto la loro origine latina, ma anche la prevalente accentuazione in esse della vita attiva, rispetto a quella contemplativa. La loro costituzione fu generalmente quella più libera delle cosiddette 'congregazioni', senza clausura rigida, obbligo del coro, e con voti semplici, non solenni. Anche moltissimi tra gli Ordini più antichi si rinverdirono con nuovi rami (Maurini, Alcantarini, Carmelitani scalzi).

Grande mecenate, Paolo III resta uno dei protagonisti del Rinascimento artistico italiano. Accordò protezioni a dotti e letterati, fece costruire e restaurare cappelle, chiese e grandi monumenti romani (ricordiamo la costruzione della Sala Regia in Vaticano e il restauro della basilica Lateranense e delle mura di Castel sant'Angelo), promosse un grandioso sviluppo edilizio di Roma, abbellendola con nuove vie e fontane, come la Paolina, spendendo cifre astronomiche per migliorarne la viabilità. La moneta detta 'giulio', dopo di lui, prese a chiamarsi 'paolo'. Prima ancora dell'ascesa al soglio pontificio riuscì ad accumulare ciò che noi oggi chiamiamo 'collezione Farnese', distinta in due nuclei: la collezione romana, comprensiva per lo più di opere di artisti legati alla famiglia Farnese da rapporti di committenza (Raffaello, Sebastiano del Piombo, Tiziano, El Greco, i Carracci) e conservata nel palazzo di famiglia nei pressi di Campo de' Fiori, insieme alla grande statuaria antica, attualmente nel Museo Archeologico Nazionale; e la collezione parmense esposta nel palazzo della Pilotta a Parma, con una rilevante presenza di opere di scuola emiliana, nonché un cospicuo numero di dipinti fiamminghi.

Ma il protagonista indiscusso di questa stagione resta Michelangelo, ritornato a Roma nel 1534, e ivi fermatosi fino alla morte avvenuta trent'anni dopo. All'artista nel 1534 Paolo III commissionò un grande affresco per il muro di fondo della Cappella Sistina avente per tema il Giudizio Universale.

Michelangelo interpretò drammaticamente tale soggetto, rivelando la più intima disperazione di ogni personaggio. Allo scoprimento dell'opera (1544), nonostante le lodi e i consensi, tuttavia non mancarono i commenti malevoli dovuti all'invidia e ad un malinteso senso del pudore che permeava la curia di quel tempo. Pertanto fu deliberato di velare con appropriati panneggi alcune parti del dipinto ritenute 'oscene'. Questa decisione fu accolta da Michelangelo con sommo sdegno perchè vide la sua titanica composizione umiliata da idee così grette. Nel frattempo Paolo III gli affidò molteplici altri incarichi, tra cui quello di sovrintendente a vita ai lavori della Basilica Vaticana.
Quando, ormai settantaduenne, Michelangelo accettò l'incarico per la fabbrica di San Pietro, si buttò nel lavoro con il massimo impegno, rifiutando ogni compenso, consapevole della complessità dell'opera e del fatto che egli, data l'età, non avrebbe potuto vederne il compimento.

Sempre opera del celeberrimo artista è la piazza del Campidoglio. Poco dopo l'allestimento del percorso trionfale di Carlo V (1536), Paolo III affidò a Michelangelo la realizzazione di una piazza monumentale che resuscitasse gli antichi fasti con una veste moderna; un luogo dove egli avrebbe potuto stabilire la propria dimora, concepita come unità residenziale fortificata. La scenografica soluzione dell'artista fu una terrazza trapezoidale, non di grandi dimensioni (m. 53x63), ma grandiosa e armoniosa per l'impianto architettonico, la giustezza delle proporzioni e la coerenza stilistica, da cui si domina il passato (il Foro Romano) e il presente (la città moderna), gravitante sulla statua equestre di Marco Aurelio, con il Palazzo Senatorio sullo sfondo e i Palazzi Conservatori e Nuovo ai lati come quinte teatrali. Al progetto di Michelangelo si deve pure la Cordonata che sale alla piazza e la Balaustra, ambedue impreziosite da statue antiche.
Al centro della piazza campeggia la famosa statua di Marco Aurelio, stupendo esempio di statua imperiale equestre ed uno dei pochissimi bronzi antichi scampati alla distruzione o alla fusione, forse perché si credeva rappresentasse Costantino, primo imperatore cristiano. Fu trasportata nella piazza del Campidoglio dalla piazza del Laterano per volere dello stesso Paolo III, nel 1538, nonostante il parere contrario di Michelangelo. La statua in bronzo dorato fu posta sopra un elegante piedistallo disegnato da Michelangelo e ornato con i gigli farnesiani di papa Paolo III. Dell'antica doratura restavano tracce sul viso e sul manto dell'imperatore, sulla testa e sul dorso del cavallo. Un'antica leggenda afferma che quando la doratura sarà tutta scomparsa, canterà la 'civetta' (il ciuffo di peli tra le orecchie del cavallo, in realtà il supporto che in origine doveva permettere l'inserimento di un pennacchio), e annuncerà il giudizio universale. A questa statua si ispirano i monumenti equestri del Rinascimento e molti altri nei secoli seguenti. Nel 1981 la statua, attaccata dalla corrosione dell'inquinamento, è stata rimossa e affidata all'Istituto Centrale per il Restauro. Oggi ritrovato il suo bagliore della doratura antica, si può ammirare in un vano a destra del cortile dei Musei Capitolini. Sul piedistallo, nella piazza, è stata posta una copia. Il disegno della pavimentazione è stato realizzato nel 1940.

Dopo quindici anni di densissimo pontificato, che l'avevano visto protagonista principale delle vicende europee non solo religiose, Paolo III si spense a Roma il 10 novembre 1549. Fu sepolto nella basilica di san Pietro. Era riuscito appena in tempo a chiudere il Concilio di Trento, trasferitosi a Bologna.
Il 18 febbraio 1546 era morto Martin Lutero; "il più grande fra i tedeschi del suo tempo" (Dollinger) aveva avviato la Riforma protestante. Paolo III, forse unico fra i pontefici del suo tempo ad aver seriamente compreso la portata e le conseguenza di tale Riforma, è ancora oggi considerato un grande pontefice.

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