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CLEMENTE VI, Pietro Roger, francese
(1342-1352)

Morto Benedetto XII il 25 aprile 1342, nella stessa Avignone i cardinali del Sacro Collegio riuniti in conclave, dopo appena tredici giorni, si misero d'accordo sul nome del successore. Erano ormai quasi tutti cardinali francesi, e quindi quel nome non poteva ancora una volta che essere francese.
Il 7 maggio 1342 il neo-papa Pierre Roger de Beaufort, nato 51 anni prima a Malmont, veniva eletto papa, e il 19 maggio veniva consacrato col nome di CLEMENTE VI.

Anche lui era un monaco come Benedetto XII, fin dalla giovanissima età era entrato in un convento di Benedettini, ma al contrario di quello non era un uomo di rigidi costumi; ma era anche lui uno studioso (e non solo di affari ecclesiastici ma politici), un dotto canonista oltre che pio e zelante pastore di anime, e ricoprì l'incarico di docente di Teologia a Parigi, fu poi vescovo di Sens e Rouen, infine era stato creato cardinale proprio da Benedetto XII. Negli anni si era distinto così tanto da diventare guardasigilli alla corte di Francia, e qui aveva appreso e apprezzato il fasto, la munificenza e la liberalità.
Il Castiglione dice che "ancora quand'era cardinale era megalomane nello spendere, con soldi anche presi in prestito, e quando fu eletto papa, fu buona ventura per i suoi creditori, furono saldati tutti e con la giunta di laute ricompense".
Lo si vide subito alla festa della sua incoronazione la sua munificenza e prodigalità, a parte le molte spese per i lussuosi addobbi che fecero cornice alla solenne cerimonia, ci fu un banchetto enorme, una ecatombe di buoi e vitelli (oltre 200), montoni (oltre 1000), capponi (oltre 3000), capretti, maiali, polli e galline (oltre 11.000), lucci, storioni e si vuotarono 102 botti di vino. (Vol 195, Introitus et Exitus, nell'Archivio Vaticano)

Insomma quando salì sul soglio al contrario del suo predecessore che era stato molto parco e molto rigoroso nel distribuire benefici ecclesiastici, e severo nell'estirpare gli abusi, Clemente VI invece, piuttosto liberale, largheggiò, beneficiando inopportunamente anche alcuni avventurieri, che qualche volta con i loro loschi traffici coinvolsero la Chiesa. Del resto qualche anno prima Avignone era solo un borgo, poi con la sede papale da lui resa magnificente, era diventata prospera, un vero e proprio centro commerciale, con quattromila addetti che gravitavano intorno alla corte papale e altrettanta era la gente che lavorava nell'indotto: negozianti, agenti di commercio, affaristi di ogni specie, banche che avevano aperto le loro filiali ad Avignone. E non sempre tutti questi affari nella nuova capitale della cristianità erano puliti. E ci sarà stato un valido motivo il perchè il Petrarca nelle sue "Rime" la chiama Avignone ".... la novella Babilonia ond'è fuggita ogni vergogna, ond'ogni bene è fori, albergo di dolor, madre di orrori..."(CXIV, 1-4).

Tuttavia, Clemente generoso lo era anche con i poveri e i bisognosi; e quando l'Europa fu messa in ginocchio dalla terribile pestilenza del 1348, Clemente VI (e fu poi accusato di aver dissipato il tesoro pontificio) largheggiò di soccorsi e di aiuti. A Filippo VI diede mezzo milioni di fiorini d'oro, al regno di Napoli quasi quattro milioni, e dato che la regina Giovanna aveva la sovranità feudale di Avignone, Benedetto la comperò per 18.000 fiorini. Avignone ora diventava a tutti gli effetti un piccolo regno della Chiesa incastonato nel regno di Francia.
Ma a parte questo tipo di cronaca affaristica e mondana, quando Clemente VI era salito sul trono, vi era la famosa questione "politica" di Lodovico il Bavaro non risolta. Questi non aveva per nulla dato ascolto - sulla vicenda matrimoniale - al debole Benedetto XII, poi morto questo, col nuovo papa trovò che era opportuno riappacificarsi mandandogli un'ambasceria. Ma se il primo aveva dimostrato debolezza, esitazioni e incertezze, il suo successore piuttosto avveduto non fu per nulla esitante e tanto meno debole.
Lasciò trascorrere qualche mese, poi si fece vivo con la bolla del 12 aprile 1243, che era piuttosto severa: iniziava enumerando i delitti e le sopraffazioni di Lodovico nelle cose ecclesiastiche, e gli imponeva di abdicare entro tre mesi alla dignità imperiale.

Lodovico che fino allora aveva tenuto cattivissimi rapporti col re di Francia, si rivolse proprio a lui perchè facesse da intermediario. I principi elettori tedeschi che già da tempo si stavano mettendo contro di lui per la faccenda del matrimonio, con la mossa fatta in Francia si indignarono e nemmeno furono insensibili alla bolla papale, stavano rischiando il disonore. Cominciarono a non volerne più sapere del Bavaro che aveva con tutti i suoi fallimenti condotto l'impero alla rovina.

A Clemente non passò inosservata questa presa di posizione dei principi e con un'altra bolla li invitò e sollecitò a riunirsi e a nominare un nuovo re di Germania. La scelta degli elettori cadde su Carlo IV, figlio del re di Boemia e nipote di Enrico VII. Il 26 novembre 1346, il giovane principe si fece incoronare a Bonn e prestò giuramento al papa. Abbiamo detto a Bonn e non ad Acquisgrana dove da sempre avveniva l'incoronazione, ma in quella città era forte la fazione a favore di Lodovico e la città in mano loro aveva chiuso le sue porte al neo-re.
Questi seguaci di Lodovico a quella incoronazione, protestarono, volevano far tornare in Germania la guerra civile, senonchè tutto terminò quando pochi mesi dopo - 11 ottobre 1347 - Lodovico scese nella tomba con lo strano incidente in una partita di caccia. In breve tempo tutti riconobbero Carlo IV e perfino gli eretici che avevano fino allora appoggiato il Bavaro si calmarono, e molti di essi e lo stesso Ockam si sottomisero a Clemente VI.
E se qualcuno aveva ancora qualche dubbio, non poteva che prendere atto che ancora una volta il potere spirituale si era imposto sul potere temporale.
Si era intanto arrivati al 1349. A Roma si seguitava a languire e a soffrire . Abbiamo già detto nella precedente biografia, che nell'anarchia dei grandi, i romani si erano ribellati ed avevano di nuovo ricreato una repubblica.  Malgrado le velleità repubblicane del popolo e i propositi dei nobili di costituirsi una signoria, sia i grandi che i popolani sentivano la nostalgia della Curia la cui assenza aveva disseccato l'unica fonte di lucro, e ne desideravano fervidamente il ritorno.
Nell'ambasceria inviata subito dopo l'elezione di Clemente, guidata da Stefano Colonna che si onorava anche della compagnia di Francesco Petrarca, presentatisi al Papa, lo invitarono a nome di tutti i Romani, a ricondurre la Santa Sede a Roma; e dato che la città languiva nella miseria, memori delle favolose entrate del famoso anno santo del 1300, lo pregarono di ridurre da cento a cinquant'anni il tempo del giubileo; tale evento avrebbe ridato vitalità a una città che senza la sede papale stava da diverse decine di anni morendo di inedia.
Clemente VI in quella occasione ci penso sù dei mesi, poi rispose ritenendo possibile il giubileo e promettendo infine che sarebbe tornato in Roma non appena il momento gli fosse sembrato propizio. Per quanto la amasse, di tornare a Roma non aveva proprio voglia, e riguardo al giubileo erano passati un paio d'anni di silenzio. Bisognava quindi sollecitare.
I romani inviarono una seconda ambasceria ad Avignone. Faceva parte di questa ambasceria un giovane popolano, COLA DI RIENZO, figlio di un taverniere e di una lavandaia, anima ardente di sognatore, che aveva studiato appassionatamente l'antica storia di Roma, e sdegnato della miseria in cui era caduta la patria, vagheggiava un ritorno di Roma alle antiche glorie repubblicane.
Tornato da Avignone nella capitale, Cola ricominciò con maggior fervore a diffondere le sue idee, a scuotere gli animi intorpiditi, a prepararli alla grande opera che lui vagheggiava.
 
Cioè che fece dopo questo tribuno, che si era un po' montato la testa (si cinse di sei corone) e come finì, lo raccontiamo nelle molte pagine nel link a fondo pagina in Storia d'Italia.
Finalmente giunse il 1350 a confortare i Romani affranti da tante calamità e a sollevarli dalla miseria. L'Anno Santo, portò a Roma un numero grandissimo di pellegrini, tra cui ci fu il re d' Ungheria. Da tutta l' Europa, provata dalla terribile peste, accorsero a frotte i romei nella capitale della Cristianità a ricevervi il perdono, a portarvi le generose elemosine per il loro scampato pericolo, e a far fiorire per un anno la vecchia città, esausta da tante dolorose vicende. 
Ma finito l'Anno Santo Roma ricadde nel disordine e il Pontefice credeva proprio di potere dare pace alla città incaricando un Collegio di quattro cardinali di trovare una forma di governo che eliminasse gli eccessi della nobiltà e quelli della democrazia.

Fu un fallimento e si arrivò a richiamare nuovamente Cola di Rienzo. Questi quand'era stato cacciato era finito nelle prigioni di Praga con le accuse di eresia e scomunicato. Ma poi fu consegnato a quelle di Avignone nell'estate del 1352 e contro di lui fu istruito un processo. Ma i giudici erano stati clementi e non l'avevano condannato. Il Pontefice non aveva voluto mettere a morte quell'uomo che il Petrarca stimava ancora, che la plebe romana invocava e che avrebbe potuto costituire nelle mani della curia avignonese un prezioso strumento per la sua politica romana. 

Ma Clemente VI non ebbe il tempo di servirsi di Cola di Rienzo.
Cessò di vivere ad Avignone il 5 dicembre del 1352.
Lasciò al suo successore il difficile compito, e questi tirò fuori dalla galera il tribuno e lo utilizzò lui.

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