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CALLISTO II, Guido di Vienne (o di Borgogna )
(1119-1124)

Come già detto, prima di morire si narra che Gelasio abbia suggerito di far eleggere al trono pontificio il vescovo OTTONE di Palestrina; ma questi rifiutò l'offerta e in sua vece fu eletto l'arcivescovo Guido di Borgogna (o di Vienne).
Non era questa un'elezione regolare essendo stata fatta dai soli sei cardinali che avevano seguito Gelasio in Francia; eppure, appena diffusa la notizia, giunsero entusiastiche adesioni da parte del clero, della nobiltà francese e dello stesso re Luigi VI; ed otto giorni dopo, il 9 febbraio 1119, Guido fu consacrato col nome di papa CALLISTO II.

Il nuovo Pontefice apparteneva al clero secolare e, poiché tra questo e il clero regolare esistevano molti dissidi, l'elezione di Guido suonava promessa di riconciliazione fra i due cleri. Callisto II inoltre faceva sperare una politica più energica di quella seguita dal suo predecessore; per le sue potenti parentele e per le sue tendenze. Egli, infatti, si vantava discendente degli ultimi re d'Italia, era del resto figlio del conte Guglielmo di Borgogna, era cognato di Umberto II di Savoia ed era imparentato con le case regnanti di Castiglia, di Francia, d'Inghilterra e di Germania. Questo gli permetteva di rivolgersi a loro come a dei pari.

Aveva inoltre dimostrato di essere un uomo di carattere forte e inflessibil, infatti lui era quello stesso "energico" Guido che, convocato di propria iniziativa un concilio a Vienne, aveva scomunicato Enrico V e minacciato di togliere l'obbedienza a Pasquale II se non avesse revocato quell'"ignominioso" privilegio concesso a Roma.

Nonostante i precedenti, che facevano temere un inasprimento della lotta tra il Papato e l'Impero, CALLISTO II mostrò fin dagli inizi del suo pontificato di essere disponibile alla conciliazione e, accogliendo la preghiera dei cardinali di Roma, convocò per il 20 ottobre 1119 un concilio generale da tenersi a Rheims e inviò ad ENRICO V, a Tribur, legati affinché la sua elezione fosse riconosciuta anche dall'imperatore.
Enrico rispose che rimandava la decisione delle questioni ecclesiastiche alla fine del concilio. E prima che questo si riunisse, si adoperarono in tentativi di pacificazione l'abate di Cluny e il vescovo Guglielmo di Chàlons, i quali si recarono dal sovrano e, ricordandogli che in Francia non si praticava l'investitura allo stesso modo che in Germania e che tuttavia non ne soffriva l'autorità della monarchia, lo esortarono a rinunciare al diritto di investitura.

Sembrò per un momento, che la missione dei due autorevoli prelati dovesse avere un esito felice, infatti, Enrico si mostrò disponibile alla rinuncia purché i diritti del regno di fronte ai vescovi non risultassero dagli stessi danneggiati. Al loro ritorno i due mediatori persuasero il Pontefice ad inviare plenipotenziari con i quali furono redatti documenti che contenevano il risultato dei colloqui e dovevano essere firmati e scambiati in un successivo convegno fra l'imperatore e il Papa.

CALLISTO II, sospese le sedute conciliari, e si era già mosso da Rheims; ma tornò subito indietro convinto che un accordo era impossibile. Nel concilio, che si chiuse il 29 ottobre del 1119 e al quale intervennero re Luigi e settantacinque vescovi, in gran parte francesi e borgognoni, furono presi nuovi e severi provvedimenti contro la simonia e il matrimonio dei preti ed altri decreti intesi a tutelare i beni e i privilegi ecclesiastici; riguardo invece alla questione delle investiture non fu presa nessuna decisione; diversamente sull'anatema che fu lanciato su Enrico V, l'antipapa e i loro sostenitori.

Nel marzo del 1120, Callisto II ripassò le Alpi; attraversò la Lombardia accolto festosamente in tutte quelle città nemiche del giogo tedesco e, componendo vari dissidi e consacrando chiese, si avvicinò a Roma, mentre l'antipapa, abbandonato dai suoi partigiani e intimorito dalle accoglienze festose che ovunque lungo il percorso riceveva il suo rivale, fuggiva dal Vaticano e andava a chiudersi e fortificarsi nel castello di Sutri sperando forse in una nuova discesa in Italia di Enrico.

CALLISTO II, entrò a Roma il 3 giugno, accolto con straordinarie dimostrazioni di affetto dalla cittadinanza. A rendere completa la sua vittoria non restava che la caduta dell'ultimo baluardo dal quale il suo rivale sperava aiuto dall'imperatore. Ma prima di muovere contro l'antipapa, Callisto si recò nell'Italia meridionale a mettere un po' di pace nel gran disordine che vi regnava e l'8 agosto, riuniti a Benevento il duca Guglielmo, il principe Giordano di Capua ed altri baroni, si fece offrire l'omaggio feudale.
Per porre termine alle discordie che dilaniavano il mezzogiorno, il Papa convocò un concilio a Troia e vi decretò la "tregua di Dio" che però fu subito dimenticata non appena il Pontefice si allontanò per andare a stanare l'antipapa Gregorio VIII dal suo rifugio.

Sutri fu assediata dall'esercito pontificio capitanato dal cardinale Giovanni da Crema; ma non era un'impresa facile prendere una piazza munita di fortissime opere di difesa, e chi sa quanto sarebbe durato l'assedio se gli abitanti, stanchi della lotta, non avessero catturato e consegnato l'antipapa nelle mani del Pontefice (aprile del 1122).

Lo scisma era finito: Gregorio VIII fu usato come un barbaro ornamento al trionfo del suo rivale. Messo a cavalcioni a rovescio su un cammello, con la coda dell'animale tra le mani e il corpo ricoperto di pelli caprine, fu messo a seguire il vincitore per le vie di Roma; condannato poi a perpetuo esilio, passò da un carcere all'altro finché nel convento della Cava trovò con la morte la fine alle sue miserie.

Eliminato l'antipapa e avendo i suoi sostenitori fatto atto di sottomissione al Pontefice, fu possibile iniziare, e poi portare a termine, le trattative per risolvere la questione che da circa mezzo secolo teneva di fronte il Papa e l'Imperatore. La buona volontà non mancò da nessuna delle due parti, l'ostinazione del sovrano fu vinta dalla situazione favorevole in cui si era venuta a trovare la Santa Sede; e l'oculatezza dei mediatori - tra cui degno di menzione il vescovo AZZONE D'AQUI parente di Callisto e di Enrico - fece il resto.

Nella dieta di Virzburgo, nell'ottobre del 1122, furono accettate dall'una e dall'altra parte le proposte di pace. ENRICO V prometteva obbedienza alla Santa Sede; doveva conservare ciò ch'era suo e del suo regno; la Chiesa doveva rimanere nel possesso di quanto le spettava; tutti i vescovi nominati secondo i canoni, compresi quelli di Spira e di Worms, rimanevano in carica, fino a quando, presentatisi al Pontefice, questi non avesse deciso della loro sorte; i prigionieri e gli ostaggi erano rimessi in libertà; fino alla soluzione della contesa i vescovi potevano avere libero accesso alla corte sovrana e i principi assicuravano il loro intervento in favore di quelli che erano venissero colpiti da eventuali rappresaglie imperiali.

Approvate le proposte fu proclamata la pace per tutto l'impero e si minacciò la pena di morte contro chi avesse tentato di violarla. A Callisto fu inviata un'ambasceria con l'invito di convocare un concilio per concludere definitivamente la pace tra la Chiesa e lo Stato; il concilio prima indetto a Magonza, fu poi convocato a WORMS.

In questa città, il 23 settembre del 1122, furono portate a termine le trattative per la conciliazione che furono sancite in due atti contenenti le concessioni anteriormente concordate a Virzburgo. L'atto dell'imperatore, firmato da diciotto principi, conteneva la rinunzia all'investitura con il pastorale e l'anello; il rispetto della libertà delle elezioni ecclesiastiche; la promessa di restituire a San Pietro le regalie che sotto il suo regno e sotto quello del padre gli erano state tolte.
Mentre l'atto del Pontefice conteneva la concessione fatta al sovrano di assistere personalmente e per mezzo di legati alla elezione dei vescovi e degli abati nel regno tedesco e di conferire agli eletti le regalie per mezzo dello scettro. Quanto alle elezioni episcopali nel territorio dell'impero, entro il regno germanico l'atto del Pontefice stabiliva che le regalie con lo scettro dovevano esser conferite durante i primi sei mesi.

Il concordato di Worms fu un trattato di pace tra i due poteri, ognuno dei quali firmò un documento che garantiva concessioni all'altro. L'imperatore, oltre ad assicurare in genere la proprietà della chiesa e la libertà di elezione, abbandonava per sempre l'investitura con l'anello e il pastorale. Il papa, nelle sue concessioni, fece un'importante distinzione tra i vescovadi e le abbazie che si trovavano in Germania e quelli che si trovavano in Italia e in Borgogna. In Germania le elezioni avrebbero avuto luogo alla presenza del re, al quale il pontefice concedeva una certa autorità nei casi controversi.
Nel frattempo due fattori avevano ridotto l'importanza dei vescovadi italiani: anzitutto il crescente potere dei comuni, spesso assecondato dagli stessi vescovi, aveva comportato un declino dell'autorità episcopale; in secondo luogo i vescovi avevano in genere accolto i decreti di riforma pontificia, e così erano sempre meno disponibili al controllo imperiale. Per quanto riguardava la Germania, era di estrema importanza che il re mantenesse il controllo sulle elezioni, dato che l'autorità temporale dei vescovi continuava inalterata; e qui, sebbene l'abolizione del deprecato uso dei simboli spirituali soddisfacesse gli scrupoli pontifici, il controllo sulle elezioni rimase effettivo. Non si può tuttavia negare che il concordato fu un vero affare per il papato.

L'imperatore rinunciò a una pratica già in atto, mentre il papa si limitò a concedere ciò che, della procedura esistente, intendeva approvare.
L'11 novembre una dieta a Bamberga confermò il concordato, che divenne parte integrante della legge costituzionale dell'impero. A dicembre il papa scrisse una lettera di congratulazioni a Enrico, inviandogli la sua benedizione; poi, nel sinodo quaresimale del marzo 1123, ci fu la solenne ratificazione del concordato di Vorms, presenti trecento vescovi, e fu il nono concilio ecumenico, primo nel Laterano. In esso si diede lettura dei documenti del concordato, e furono approvati. Indi vennero stabiliti vari canoni, in particolare contro la simonia e il concubinato dei chierici, contro le usurpazioni dei laici negli affari della Chiesa, contro i matrimoni vietati, contro la violazione della tregua di Dio, il falsare monete, il disturbare i pellegrinaggi a Roma, il mancare al voto di recarsi coi Crociati a difendere il santo Sepolcro. Di più si celebrò la canonizzazione del vescovo Corrado di Costanza, e si chiusero altre vertenze, specialmente quelle dei monasteri con i vescovi.

Il documento imperiale fu accolto dal sinodo con entusiasmo; ci furono alcune critiche alle concessioni pontificie, ma, per amor di pace, furono momentaneamente tollerate. Fu riconosciuto che esse non erano irrevocabili, e la loro formulazione permise di sostenere che, mentre le concessioni di Enrico avrebbero impegnato anche i suoi successori, quelle del papa si limitavano alla durata della vita di Enrico.

Il primo grande scontro tra impero e papato si era praticamente già concluso, ma il concordato di Worms aveva dato sistemazione a un problema minore, il grande dilemma invece, quello della supremazia, rimaneva irrisolto. Esso rimase tacitamente ignorato da entrambe le parti finché fu di nuovo portato alla ribalta dalle parole di sfida di Adriano IV.
Ma il cambiamento che si era verificato nelle relazioni tra i due poteri era di per sé una grande vittoria della politica pontificia.

Nell'ambito ecclesiastico, il papa si era conquistato una posizione che non avrebbe mai più perduto. Che egli fosse il capo spirituale della chiesa non era mai stato messo in discussione, in precedenza, ma la sua autorità era stata piuttosto quella di un signore feudale, dal quale ci si attendeva che non interferisse nell'autonomia locale dei vescovi e degli arcivescovi.
Imitando la politica dei sovrani temporali il papa aveva tentato, con ampio successo, di convertire questa sua signoria feudale in una vera e propria sovranità.
A quanto pare, Gregorio VII aveva concepito l'idea di una Europa sottomessa al papa, ma i suoi successori si limitarono agli stati pontifici, che comprendevano l'intera Italia meridionale, dove i normanni riconoscevano la supremazia papale. L'alleanza con i normanni, così spesso utile, quasi necessaria, era pericolosa e avvilente; essa aveva condotto ai risultati fatali degli ultimi anni di Gregorio, e avrebbe dato per qualche tempo ai normanni una considerevole influenza sulla politica papale, mentre la richiesta pontificia di supremazia sul meridione avrebbe condotto alla terribile lotta con l'Hohenstaufen e al conseguente conflitto tra angioini e aragonesi. Nella stessa Roma l'autorità papale, che non era mai stata messa in discussione durante l'arcidiacono e il pontificato di Gregorio fino al 1083, ricevette un duro colpo dalla brutalità normanna. E sarebbe trascorso molto tempo prima di poterla ristabilire.

A Worms dunque finiva così la lotta per le investiture, e mentre la Chiesa riaveva la libertà nelle elezioni vescovili, l'imperatore conservava una considerevole ingerenza sulla elezione dei prelati suoi vassalli.
Se Gregorio VII aveva concepito (o meglio iniziato) questo progresso dell'autorità pontificia, tanto spirituale quanto temporale (e aveva spinto il suo pensiero più lontano di quanto i suoi immediati successori fossero disposti a seguirlo) indubbiamente Callisto nel continuare l' "avventura" ne ebbe i meriti, anche se poi nell'ambito dell'attuazione pratica, bisognerà arrendere prima il frettoloso impeto di Adriano IV, poi il maggior intuito e la determinazione di Innocenzo III.

Tuttavia parlando dei meriti di Callisto, lo storico tedesco GREGOROVIUS così scriveva:
«....da secoli sulla cattedra di S. Pietro aveva seduto papa alcuno, che fosse e sentisse di essere così avventurato come Callisto: e merito ne aveva la sua prudenza del pari che la sua energia. La Città obbedì reverente all'autore della pace; si acquietarono le lotte dei partiti, e, finchè egli visse, per le rovine di Roma non suonarono più grida di battaglia. In questo bel periodo di pace, il pontefice potè perfino pensare al bene della Città. Deplorevole era la condizione di Roma dopo la lotta delle investiture; la città era mezzo in rovina; i templi di pace e di amore s'erano con massima profanazione tramutati in castelli guerreschi, avevano provato le sorti di vere fortezze. Callisto in un concilio dovette espressamente proibire che le chiese diventassero rocche; vietò ai laici di spiccare le offerte votive dagli altari e bandì anatema a chi maltrattasse le genti che venivano a Roma peregrinando".

Quanto al resto, Callisto dopo averle promosse nel concilio lateranense, non vide l'esito delle nuove crociate. Morì poco tempo dopo la sua vittoria, il 13 dicembre 1124.

Cinque mesi dopo, il 23 maggio del 1125, cessava di vivere ad Utrecht Enrico V. Aveva appena 44 anni, ed era l'ultimo della casa salica, che con lui si spegneva dopo avere regnato per 101 anni sulla Germania e sull'Italia. La corona sta per passare alla potente famiglia degli HOHENSTAUFEN (Svevi) non senza contrasti.

Callisto era appena spirato, e già risorgevano a Roma nuovamente gli antagonismi che la pacificazione del Papato con l'impero pareva che avesse per sempre eliminati.

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