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CODICE MILITARE

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LIBRO SECONDO

Reati contro il patrimonio.

230. Furto militare. Il militare, che, in luogo militare, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola ad altro militare che la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione militare da due mesi a due anni.
Se il fatto è commesso a danno dell'amministrazione militare, la pena è della reclusione militare da uno a cinque anni [231-233; 624 c.p.].
La condanna importa la rimozione [29] (1).
Agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione di luogo militare si comprendono le caserme, le navi, gli aeromobili, gli stabilimenti militari e qualunque altro luogo, dove i militari si trovano, ancorché momentaneamente, per ragione di servizio.
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(1) Con sentenza 10 marzo 1983, n. 49 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 230, comma 3, in riferimento all'art. 3 della Costituzione per difetto di rilevanza.
La Corte Costituzionale, con sentenza 7 novembre 1989, n. 490, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 230, comma 3, c.p.m.p., sollevata, con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost..
La Corte Costituzionale, con sentenza 2 febbraio 1990, n. 60, ha dichiarato: 1) manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 230, comma 3, c.p.m.p., sollevata con riferimento agli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost.; 2) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 166 c.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost. in relazione all'estensione alle pene accessorie degli effetti della sospensione condizionale.

 

231. Circostanze aggravanti. La pena è della reclusione da uno a cinque anni nel caso preveduto dal primo comma dell'articolo precedente, e da due a sette anni nel caso preveduto dal secondo comma dell'articolo stesso:
1° se il colpevole usa violenza sulle cose [392 c.p.] o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;
2° se il colpevole porta in dosso armi [585 c.p.] o narcotici, senza farne uso;
3° se il fatto è commesso con destrezza, ovvero strappando la cosa di mano o di dosso alla persona;
4° se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata.
Se concorrono due o più delle circostanze indicate nel comma precedente, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61 del codice penale o nell'articolo 47 di questo codice, si applica la reclusione da due a otto anni, nel caso preveduto dal primo comma dell'articolo precedente, e la reclusione da tre a dieci anni, nel caso preveduto dal secondo comma dell'articolo stesso [232, 233; 625 c.p.].
La condanna, quando non ne derivi la degradazione [28], importa la rimozione [29].

 

232. Furto a danno del superiore al cui personale servizio il colpevole sia addetto, o nell'abitazione dello stesso superiore. Il militare addetto al personale servizio di un superiore, che, in qualsiasi luogo, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola al superiore che la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da due a sette anni.
La disposizione del comma precedente si applica anche se il fatto è commesso, nell'abitazione del superiore, a danno di persona con questo convivente.
Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell'articolo precedente, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Se concorrono due o più delle circostanze indicate nel primo comma dell'articolo precedente, o se alcuna di dette circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61 del codice penale o nell'articolo 47 di questo codice, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni [233].
La condanna, quando non ne derivi la degradazione [28], importa la rimozione [29].

 

233. Furto d'uso o su cose di tenue valore. Furto di oggetti di vestiario o di equipaggiamento. Si applica la reclusione militare fino a sei mesi:
1° se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita (1);
2° se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave e urgente bisogno;
3° se il fatto è commesso su oggetti di vestiario o di equipaggiamento militare, al solo scopo di sopperire a deficienze del proprio corredo [260; 626 c.p.].
Tali disposizioni non si applicano, se ricorre alcuna delle circostanze indicate nei numeri 1°, 2° e 3° del primo comma dell'art. 231.
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(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 10 gennaio 1991, n. 2, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 233, comma 1, n. 1, del c.p.m.p., nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta. Con sentenza 13 dicembre 1988, n. 1085, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 626, comma 1, n. 1, del codice penale, per contrasto con l'art. 27, comma 1, della Costituzione, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione della cosa sottratta, dovuta a caso fortuito o forza maggiore.
La Corte Costituzionale, con sentenza 29 aprile 1991, n. 179, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 233, comma 1, n. 1 c.p.m.p., sollevata, in riferimento agli artt. 27, commi 1e 3 Cost., nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore della cosa sottratta, per essere stata già dichiarata la illegittimità costituzionale in parte qua della norma suddetta con sent. n. 2 del 1991. Ha dichiarato, inoltre, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 233, comma 1, n. 1 c.p.m.p., sollevata in relazione agli artt. 27, commi 1 e 3, e 3 Cost., nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a colpa del soggetto agente.

 

234. Truffa. Il militare, che, con artifici o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con danno di altro militare, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni [640 c.p.].
La pena è della reclusione militare da uno a cinque anni:
1° se il fatto è commesso a danno dell'amministrazione militare o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare (1);
2° se il fatto è commesso, ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell'Autorità.
La condanna importa la rimozione [29] (2) (3).
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(1) La Corte Costituzionale con ordinanza 23 luglio 1996, n. 298, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma primo, lettera c), numero 4, del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75 (concessione di amnistia), sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
La Corte Costituzionale con ordinanza 5 dicembre 1997, n. 379, ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera c, numero 4, del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75 (Concessione di amnistia), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(2) La Corte Costituzionale con sentenza 25 luglio 1997, n. 272, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera c, numero 4, del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75 (Concessione di amnistia), nella parte in cui non prevede l'applicazione dell'amnistia per il delitto di truffa militare aggravata, previsto e punito dall'art. 234, secondo comma, del codice penale militare di pace, sempre che non ricorra la circostanza aggravante prevista dall'art. 61, n. 7, del codice penale; e ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera c, numero 4, della legge 11 aprile 1990, n. 73 (Delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia), nella parte in cui non prevede la concessione dell'amnistia per il delitto di truffa militare aggravata, previsto e punito dall'art. 234, secondo comma, del codice penale militare di pace, sempre che non ricorra la circostanza aggravante prevista dall'art. 61, numero 7, del codice penale.
La Corte Costituzionale, con ordinanza 2 marzo 1990, n. 105, ha dichiarato manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 234, comma ult., e 235, comma ult., c.p.m.p., e dell'art. 166 c.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost..
(3) La Corte Costituzionale con sentenza 11 dicembre 1997, n. 383, ha dichiarato:
a) non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 e 234, terzo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui prevedono l'automatica applicazione della pena accessoria della rimozione, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
b) manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dei citati artt. 29 e 234, terzo comma, nella parte in cui prevedono la rimozione soltanto per i militari che rivestono un grado o appartengono a una classe superiore all'ultima, e degli artt. 30 e 31 del codice penale militare di pace, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

235. Appropriazione indebita. Il militare, che, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile di altro militare, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito con la reclusione militare fino a tre anni [646 c.p.].
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario o appartenenti all'amministrazione militare, la pena è aumentata.
Se il fatto è commesso su oggetti di vestiario o di equipaggiamento militare, al solo scopo di sopperire a deficienze del proprio corredo, si applica la reclusione militare fino a sei mesi [260].
Nei casi preveduti dal primo e dal secondo comma, la condanna importa la rimozione [29] (1).
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(1) V. nota sub art. 234.

 

236. Appropriazione di cose smarrite o avute per errore o caso fortuito. È punito con la reclusione militare fino a sei mesi:
1° il militare, che, avendo trovato, in luogo militare [230], denaro o cose da altri smarrite, se li appropria o non li consegna al superiore entro ventiquattro ore;
2° il militare, che si appropria cose appartenenti ad altri militari o all'amministrazione militare, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito [260].
Se il colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è appropriata, la pena è della reclusione militare fino a due anni [647 c.p.].

 

237. Ricettazione. Fuori dei casi di concorso nel reato, il militare, che, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi reato militare [37], o comunque si intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione militare fino a due anni [648 c.p.].
Se il denaro o le cose provengono da un reato militare, che importa una pena detentiva superiore nel massimo a cinque anni o una pena più grave, si applica la reclusione fino a sei anni.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l'autore del reato, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile [85 c.p.] o non è punibile [46, 384 e 649].
La condanna, quando non ne derivi la degradazione [28], importa la rimozione [29].

 

Disposizioni relative ai militari in congedo, ai mobilitati civili e alle persone estranee alle forze armate dello Stato

 

Disposizioni per i militari in congedo.

 

238. Reati commessi dal militare in congedo a causa del servizio prestato. (1) È punito a norma delle rispettive disposizioni di questo Codice il militare in congedo [7] che, a causa del servizio prestato, commette verso un militare in servizio [3, 5] o in congedo alcuno dei fatti preveduti dai capi terzo, quarto e sesto del titolo terzo di questo libro; purché il fatto medesimo sia stato commesso entro due anni dal giorno in cui il militare ha cessato di prestare servizio alle armi [186-198, 200-211, 241].
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 4, l. 23 marzo 1956, n. 167.

 

239. Reati commessi contro militari in congedo a causa del servizio prestato. È punito a norma delle rispettive disposizioni di questo codice il militare in servizio alle armi [3] o considerato tale [5], che, a causa del servizio prestato, commette verso un militare in congedo alcuno dei fatti preveduti dai capi terzo, quarto e sesto del titolo terzo di questo libro [186-198, 200-211, 241].

 

240. Reati commessi contro militari in congedo che vestono, ancorché indebitamente, l'uniforme militare. (1) Il militare in servizio alle armi [3], o considerato tale [5], che commette alcuno dei fatti previsti dai capi terzo, quarto e sesto del titolo terzo di questo libro, contro un militare in congedo mentre questi veste, ancorché indebitamente, l'uniforme militare, è punito a norma delle rispettive disposizioni di questo Codice [186-198, 200-211, 241].
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 4, l. 23 marzo 1956, n. 167.

 

241. Militari in congedo assoluto. (1) Le disposizioni contenute nei tre articoli precedenti si applicano anche se gli offesi avevano, al momento del fatto, cessato di appartenere alle Forze armate dello Stato.
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 4, l. 23 marzo 1956, n. 167.

 

Disposizioni per i mobilitati civili.

 

242. Mutilazione o infermità procurata o simulazione d'infermità. Chiunque, a fine di sottrarsi agli obblighi della mobilitazione civile, si mutila o si procura infermità o imperfezioni, ovvero simula infermità o imperfezioni, è punito a norma delle disposizioni degli articoli 157, 158, primo e terzo comma, e 159, relative al militare che commette i fatti predetti a fine di sottrarsi all'obbligo del servizio militare. Tuttavia, la pena è diminuita [51, 160; 115 c.p.m.g.].

243. Abbandono del servizio da parte del mobilitato civile. (1) Chiunque, appartenendo al personale di uno stabilimento statale di produzione per la guerra ovvero a uno stabilimento privato mobilitato, si assenta senza autorizzazione dallo stabilimento per oltre cinque giorni, ovvero, essendone legittimamente assente, non vi rientra, senza giusto motivo, nei cinque giorni successivi a quello prefissogli, è punito con la reclusione militare da sei mesi a due anni.
La stessa pena si applica al militare dispensato, all'ammesso a ritardo o all'esonerato dal richiamo alle armi per mobilitazione, che, appartenendo al personale di alcuno degli stabilimenti indicati nel comma precedente, si assenta senza autorizzazione dallo stabilimento per oltre ventiquattro ore, ovvero, essendone legittimamente assente, non vi rientra, senza giusto motivo, nello stesso termine.
Se il fatto è commesso da tre o più persone, previo accordo, la pena è aumentata da un terzo alla metà.
Se la durata dell'assenza non supera quindici giorni, la pena può essere diminuita da un terzo alla metà [148; 146 c.p.m.g.].
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(1) V. artt. 26, 28, 35, 36, r.d. 31 ottobre 1942, n. 1611, sulla disciplina dei cittadini in tempo di guerra.

 

244. Violenza contro superiori nella gerarchia tecnica o amministrativa o contro militari preposti alla sorveglianza disciplinare. Chiunque, appartenendo al personale di alcuno degli stabilimenti indicati nell'articolo precedente, usa violenza [43] contro un superiore nella gerarchia tecnica o amministrativa dello stabilimento stesso, ovvero contro chi rappresenta l'Autorità militare preposta alla sorveglianza disciplinare dello stabilimento, è punito con la reclusione militare da due a cinque anni.
Se il fatto è commesso per cause estranee al servizio, si applica la reclusione militare da uno a tre anni.
Se il colpevole ha reagito in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto del superiore o del rappresentante dell'Autorità militare, la pena è diminuita da un terzo alla metà.
Se la violenza consiste nell'omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, o in una lesione personale gravissima o grave, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. Tuttavia, la pena detentiva temporanea è aumentata [186, 249].

 

245. Minaccia o ingiuria a superiore nella gerarchia tecnica o amministrativa o contro militari preposti alla sorveglianza disciplinare. Chiunque, appartenendo al personale di alcuno degli stabilimenti indicati nell'articolo 243, minaccia un ingiusto danno a un superiore nella gerarchia tecnica o amministrativa dello stabilimento stesso, ovvero a chi rappresenta l'Autorità militare preposta alla sorveglianza disciplinare dello stabilimento, ovvero ne offende, in sua presenza, l'onore o il decoro, è punito con la reclusione militare fino a tre anni.
La stessa pena si applica, se l'ingiuria è commessa mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
Se il fatto è commesso per cause estranee al servizio, la pena è della reclusione militare fino a due anni.
Se il colpevole ha reagito in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto del superiore o del rappresentante dell'Autorità militare, la pena è diminuita da un terzo alla metà [189].

 

246. Rifiuto di obbedienza a superiori nella gerarchia tecnica o amministrativa o a militari preposti alla sorveglianza disciplinare. Chiunque, appartenendo al personale di alcuno degli stabilimenti indicati nell'articolo 243, rifiuta, omette o ritarda di obbedire a un ordine, inerente al servizio o alla disciplina, di un superiore nella gerarchia tecnica o amministrativa dello stabilimento, ovvero di chi rappresenta l'Autorità militare preposta alla sorveglianza disciplinare dello stabilimento, è punito con la reclusione militare fino a otto mesi.
Se il fatto è commesso durante il servizio, o in presenza di più persone appartenenti allo stabilimento stesso, la pena è aumentata [173].

 

247. Violenza usata da superiori nella gerarchia tecnica o amministrativa o da militari preposti alla sorveglianza disciplinare. Chiunque, appartenendo al personale di alcuno degli stabilimenti indicati nell'articolo 243, usa violenza [43] contro un inferiore nella gerarchia tecnica o amministrativa dello stabilimento stesso, è punito con la reclusione militare da sei mesi a un anno.
Se il colpevole ha reagito in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto dell'inferiore, la pena è diminuita dalla metà ai due terzi.
Le stesse disposizioni si applicano, se il fatto è commesso da chi rappresenta l'Autorità militare preposta alla sorveglianza disciplinare dello stabilimento, contro un appartenente allo stabilimento medesimo.
Se la violenza consiste nell'omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, o in una lesione personale, si applicano le corrispondenti pene del codice penale. Tuttavia, la pena detentiva temporanea è aumentata [50, 195, 249].

 

248. Minaccia o ingiuria a un inferiore. Chiunque, appartenendo al personale di alcuno degli stabilimenti indicati nell'articolo 243, minaccia un ingiusto danno a un inferiore nella gerarchia tecnica o amministrativa dello stabilimento stesso, ovvero ne offende, in sua presenza, l'onore o il decoro, è punito con la reclusione militare fino a otto mesi.
La pena è della reclusione militare fino a due anni, se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339 del codice penale.
Le stesse pene si applicano, se il fatto è commesso mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
Si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo precedente [196].

 

249. Violenza a causa d'onore. Quando alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 244 e 247 è commesso a causa d'onore nelle circostanze indicate nell'articolo 587 del codice penale (1), si applicano le disposizioni di detto codice.
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(1) L'art. 587 c.p. è stato abrogato dall'art. 1, l. 5 agosto 1981, n. 442.

 

250. Ostruzionismo o sabotaggio nei lavori. Chiunque, appartenendo al personale di alcuno degli stabilimenti indicati nell'articolo 243, ostacola il corso dei lavori, ovvero esegue lavorazione difettosa, o deteriora il materiale di lavoro affidatogli, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare da uno a cinque anni.

Se dal fatto è derivato grave danno, si applica la reclusione militare non inferiore a sette anni (1).
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(1) V. nota sub art. 243.

 

251. Violazione di disposizioni dell'Autorità statale preposta alle fabbricazioni di guerra. Salvo che il fatto costituisca un più grave reato, è punito con la reclusione militare da tre mesi a cinque anni il dirigente o preposto a un ente o stabilimento privato mobilitato o che abbia ricevuto dall'Autorità statale preposta alle fabbricazioni di guerra il preavviso della dichiarazione di ausiliarietà, il quale:
1° ritarda od omette di comunicare notizie o dati richiesti dalla predetta Autorità, relativi all'attività dello stabilimento, ovvero li fornisce in modo infedele o incompleto;
2° presenta all'Autorità suindicata domanda di assegnazione di materie prime o di prodotti industriali per quantità superiore a quella necessaria e sufficiente;
3° aliena le materie prime o i prodotti industriali assegnatigli dalla detta Autorità, ovvero li utilizza per scopi diversi da quelli per i quali erano stati concessi;
4° omette o trascura la manutenzione degli impianti dello stabilimento, cagionando la riduzione della sua capacità produttiva;
5° procede, senza autorizzazione dell'Autorità suindicata, a trasformazioni o trasferimenti di stabilimenti o reparti, oppure ad alienazione di tutti o parte degli stessi, o di macchinari (1).
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(1) V. art. 35, r.d. 31 ottobre 1942, n. 1611.

 

Disposizioni per i piloti non militari di navi militari o aeromobili militari, per i capitani di navi mercantili e per i comandanti di aeromobili civili.

 

252. Pilota che cagiona la perdita, ovvero l'investimento, l'incaglio o l'avaria della nave. Il pilota, che cagiona la perdita di una nave militare da lui condotta o di una nave di un convoglio sotto scorta o direzione militare da lui condotto, è punito con la morte mediante fucilazione nella schiena (1).
Il pilota, che cagiona l'investimento di una nave militare [112] da lui condotta o di una nave di un convoglio sotto scorta o direzione militare da lui condotto, o cagiona ad essa incaglio o grave avaria, è punito con la reclusione non inferiore a otto anni [105-109, 258, 275].
Se il fatto è commesso per colpa, si applica:
1° la reclusione fino a dieci anni, nel caso preveduto dal primo comma;
2° la reclusione fino a due anni, nel caso preveduto dal secondo comma.
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(1) V. nota sub art. 22.

 

253. Pilota che abbandona la nave. Il pilota, che abbandona la nave militare o la nave di un convoglio sotto scorta o direzione militare, da lui condotti, è punito con la reclusione da uno a cinque anni [111, 112, 258].
Se il fatto è commesso in caso di pericolo, si applica la reclusione da tre a dieci anni.

 

254. Pilota che rifiuta, omette o ritarda di prestare servizio. Il pilota, che, incaricato di condurre una nave militare o un convoglio sotto scorta o direzione militare, rifiuta, omette o ritarda di assumere, o comunque di prestare il servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni [173].

 

255. Pilota che induce in errore il comandante. Il pilota di una nave militare o di una nave di un convoglio sotto scorta o direzione militare, che, mediante indicazioni o suggerimenti o in qualsiasi altro modo, induce in errore il comandante, con danno del servizio, è punito con la reclusione da due a dieci anni.
Se l'errore del comandante deriva dalla colpa del pilota, questi è punito con la reclusione fino a un anno.

 

256. Perdita, investimento, avaria o abbandono di un aeromobile. Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche a colui, che è chiamato a esercitare, relativamente a un aeromobile militare, funzioni analoghe a quelle del pilota marittimo.

 

257. Reati di comandanti di navi mercantili o aeromobili civili. Il comandante di una nave mercantile o di un aeromobile civile in convoglio sotto scorta o direzione militare, che cagiona la perdita della nave o dell'aeromobile, è punito con la morte mediante fucilazione nella schiena (1).
Se il comandante si separa dal convoglio, si applica la reclusione fino a tre anni [275].
Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a dieci anni nel caso preveduto dal primo comma, e della reclusione fino a un anno nel caso preveduto dal secondo comma.
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(1) V. nota sub art. 22.

 

258. Circostanze attenuanti. Quando, nei fatti preveduti dal primo e dal secondo comma dell'articolo 252 e dal primo comma dell'articolo 253, ricorrono particolari circostanze, che attenuano la responsabiltà del colpevole, alla pena di morte (1) è sostituita la reclusione non inferiore a sette anni, e le altre pene sono diminuite dalla metà a due terzi.

(1) V. nota sub art. 22.

 

259. Rifiuto di assistenza a nave o aeromobile militare. Il comandante di una nave mercantile o di un aeromobile civile, cittadino dello Stato, che rifiuta od omette di prestare a una nave militare o ad un aeromobile militare l'assistenza chiestagli in circostanze di pericolo, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

Disposizioni comuni ai titoli precedenti

 

260. Richiesta di procedimento. I reati preveduti dagli articoli 94, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111 e 112 sono puniti a richiesta del Ministro da cui dipende il militare colpevole; o, se più sono i colpevoli e appartengono a forze armate diverse, a richiesta del Ministro da cui dipende il più elevato in grado, o, a parità di grado, il più anziano [8-12, 127 e 313 c.p.; 342 c.p.p.].
I reati, per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, e quello preveduto dal numero 2° dell'art. 171 sono puniti a richiesta del comandante del corpo (1) o di altro ente superiore, da cui dipende il militare colpevole, o, se più sono i colpevoli e appartengono a corpi diversi o a forze armate diverse, dal comandante del corpo dal quale dipende il militare più elevato in grado, o, a parità di grado, il superiore in comando o il più anziano (2).
Agli effetti della legge penale militare, per i militari non appartenenti all'esercito, al comandante del corpo è sostituito il comandante corrispondente delle altre forze armate dello Stato.
Nei casi preveduti dal secondo e dal terzo comma, la richiesta non può essere più proposta, decorso un mese dal giorno, in cui l'Autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato.
Nei casi preveduti dal primo e dal secondo comma:
1° se il colpevole non è militare, alla richiesta del Ministro indicato nel primo comma è sostituita la richiesta del Ministro della forza armata alla quale appartiene il comando dell'unità, presso cui è costituito il tribunale militare competente; e alla richiesta del comandante del corpo è sostituita la richiesta del comandante dell'unità, presso cui è costituito il tribunale militare competente;
2° se più sono i colpevoli e alcuno di essi non è militare, la richiesta di procedimento a carico del militare colpevole si estende alle persone estranee alle forze armate dello Stato, che sono concorse nel reato.
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(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 18 dicembre 1991, n. 449, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 260, comma 2, c.p.m.p., in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui non prevede che i reati ivi previsti siano puniti a richiesta del comandante di altro ente superiore, allorché il comandante del corpo di appartenenza del militare colpevole sia la persona offesa dalla condotta contestata.
(2) La Corte Costituzionale è stata chiamata più volte a pronunziarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 260, comma 2, c.p.m.p.
Così, Corte Cost., sent. 6 marzo 1975, n. 42, che ha dichiarato non fondata, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., una questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, comma 2, c.p.m.p.
Ed ancora, Corte Cost., ord. 14 luglio 1967, n. 177, che ha dichiarato manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 Cost., una questione di legittimità costituzionale della stessa norma.
V., pure, Corte Cost., sent. 22 luglio 1976, n. 189, che ha dichiarato infondata, con riferimento agli artt. 2, 3, 28 e 52 Cost., una questione di legittimità costituzionale della citata disposizione di legge.
La Corte Cost. con ordinanza 10 maggio 1978, n. 60, ha dichiarato manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., una questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo.
V. anche la sentenza 26 luglio 1979, n. 84, con la quale la Corte Cost. ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 378, comma terzo, l. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F" (in base alla quale l'ingegnere capo del Genio civile promoveva l'azione penale per le contravvenzioni previste dalla stessa legge), in quanto "contrasta con l'art. 112 Cost., che attribuisce al P.M. (salve le eccezioni costituzionalmente previste) l'esercizio dell'azione penale, senza consentirgli alcun margine di discrezionalità nell'adempimento di tale doveroso ufficio".
Con ordinanza 25 giugno 1981, n. 112 la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, comma 2, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost..
Con sentenza 18 giugno 1982, n. 114, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, comma 2, in riferimento all'art. 112 Cost..
Con la stessa sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, comma 2, in riferimento all'art. 3 Cost..
La Corte Costituzionale, con ordinanza 12 novembre 1987, n. 397, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 28 e 52, comma 3, Cost..
La Corte Costituzionale con ordinanza 16 dicembre 1996, n. 396, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, primo comma, e 52, ultimo comma, della Costituzione.
La Corte Costituzionale con ordinanza 3 luglio 1997, n. 224, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 222 del codice penale militare di pace in relazione all'art. 260, secondo comma, dello stesso codice, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, primo comma, e 52, ultimo comma, della Costituzione.

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